Negli ultimi decenni, il dibattito sull’eutanasia e sul diritto al fine vita si è intensificato in Italia, con implicazioni legali, etiche e sociali. L’argomento coinvolge questioni fondamentali legate alla dignità della persona, al diritto di autodeterminazione e ai limiti dell’intervento medico. Nuova linfa al dibattito sul tema del “fine vita”è stata apportata dalla recente legge regionale della Toscana con cui sono state introdotte misure innovative, riaccendendo il dibattito a livello nazionale, sia sotto il profilo etico che quello giuridico.

E’ necessario premettere che In Italia, l’eutanasia attiva, che consiste nell’intervento diretto di un medico per porre fine alla vita di un paziente su richiesta dello stesso è vietata, in quanto prevista e punita come omicidio del consenziente, (art. 579 del codice penale) o addirittura omicidio volontario (art. 575 c.p.) nel caso di assenza del consenso esplicito del paziente.

Diversamente, è consentito il diritto al rifiuto delle cure, che trova il suo fondamento nell’articolo 32 della Costituzione italiana, secondo cui nessuno può essere obbligato a un trattamento sanitario se non per disposizione di legge. Questo principio è stato confermato dalla legge 22 dicembre 2017, n. 219, che regola il consenso informato e le disposizioni anticipate di trattamento (DAT). Tale legge sancisce il diritto di ogni cittadino di rifiutare o interrompere qualsiasi trattamento sanitario, inclusa la nutrizione e idratazione artificiale, anche se necessario per la sopravvivenza.
Le ipotesi sopra delineate, si differenziano ancora dal suicidio assistito, il cui più celebre caso è quello di DJ Fabo, accompagnato da Marco Cappato, tesoriere dell’associazione ‘Luca Coscioni’ a morire in Svizzera, Paese in cui questa pratica è perfettamente legale, caso oggetto della sentenza n. 242/2019), con cui la Corte Costituzionale ha stabilito che, in determinate condizioni, non è punibile chi aiuta una persona a morire, purché il paziente sia affetto da una patologia irreversibile che causa sofferenze fisiche o psicologiche intollerabili, sia pienamente capace di intendere e volere, abbia espresso una volontà libera, informata e consapevole, e che le condizioni siano verificate da una struttura sanitaria pubblica.

Da questo caso e dalla sentenza della Corte Costituzionale si è acceso con ancora maggior forza un dibattito che, pur segnalando la necessità di una disciplina legislativa organica e costituzionalmente orientata, non è a tutt’oggi sfociato nell’emanazione di una legge che regolamenti gli aspetti del “fine vita”.
Diversamente dal suicidio assistito, l’eutanasia attiva consiste nell’intervento diretto di un medico per porre fine alla vita di un paziente su richiesta dello stesso, mentre nel caso del suicidio medicalmente assistito è il paziente ad autosomministrarsi il farmaco letale. Questa pratica non è consentita in Italia ed è inquadrabile, come sopra accennato, nelle fattispecie di omicidio del consenziente, punito dall’articolo 579 del codice penale, o omicidio volontario (art. 575 c.p.) nei casi in cui manchi il consenso esplicito del paziente.
L’11 febbraio 2025, la Regione Toscana ha approvato una legge innovativa che mira a disciplinare e facilitare l’accesso al fine vita per i pazienti che rispettano determinati criteri. I punti chiave della legge regionale sono l’istituzione di centri di consulenza sul fine vita, dove i pazienti e le famiglie possono ricevere informazioni e supporto, un processo di verifica delle condizioni per il suicidio assistito in tempi assai contenuti, in quanto il richiedente dovrà ricevere una risposta (positiva o negativa) entro un termine massimo di 30 giorni ed in caso di esito positivo e nel caso in cui la persona confermasse la propria scelta, entro un massimo di 7 giorni dovrà essere fornita l’assistenza richiesta.
Il dibattito su temi propriamente etici, o da più parti si sono mossi rilievi sul fatto che tale norma favorirebbe una sorta di “normalizzazione” del ricorso al “fine vita”, si sposterà a breve sul campo più prettamente giuridico, in quanto la legge potrebbe essere impugnata per eccesso di competenza regionale, oltre che determinante una evidente disparità tra i cittadini della Toscana, rispetto a quelli di altre regioni.